L’ombra del dogma sulla rivoluzione di Franco Basaglia

da Il Piccolo del 21 novembre 2014

Nel saggio “La Repubblica dei matti” l’inglese John Foot analizza origini e sviluppo della psichiatria radicale. Il ruolo di Franca Ongaro nelle scelte che avrebbero portato alla legge 180. Marco Cavallo resta il simbolo del definitivo superamento del manicomio, processo iniziato a Gorizia


Ma è stata mai scritta la storia della nuova psichiatria in Italia? È il quesito intorno a cui ruota il libro di John Foot, “La ‘Repubblica dei matti’. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978”, in libreria da mercoledì edito da Feltrinelli (pag. 392, euro 22,00). In realtà le storie scritte sono molte e molto ufficiali, nella maggior parte dei casi compilate dagli stessi protagonisti. Ma John Foot è un elegante storico britannico che fino a pochi anni fa era a distanze siderali dalla storia della psichiatria radicale. È docente di Storia contemporanea italiana e insegna a Bristol. Ha pubblicato interessanti volumi su diversi temi: dal boom economico a uno studio critico della storia del calcio. Ma sui matti, niente. Di follia, psichiatria e antipsichiatria Foot non si è mai interessato, almeno fino al 2008, quando si trovò a Trieste per approfondire alcune ricerche sulla memoria divisa dell’Italia. Di Basaglia (a fianco nella foto di Claudio Ernè) sapeva qualcosa, conoscenze piuttosto elementari, ma Foot si trovava in Italia proprio durante la ricorrenza del trentesimo anniversario della legge 180 e in città c’erano una serie di eventi per l’occasione. Così Foot si infila in un cinema, una piccola sala in cui si proiettava “San Clemente” di Depardon, girato alla fine degli anni ’70: raccontava gli ultimi giorni di un manicomio veneziano. «La proiezione veniva presentata da un certo Peppe Dell’Acqua – scrive – e le immagini del documentario non ammettevano compromessi». Ne è travolto. Quando esce dal cinema capisce che avrebbe dovuto studiare quel periodo storico, quelle istituzioni e il modo in cui erano state trasformate.

Nasce così “La Repubblica dei matti”, un libro super partes che ha tutte le intenzioni di restituire ciò che è stata la storia della nuova psichiatria, sostenuto da un rigore di ricerca storica senza pari, almeno fino ad oggi. Perché Foot non si accontenta dei principali libri e manuali dell’epoca. Indaga, esplora, rovista in archivi dimenticati. Riesce a trovare dei fondi di ricerca e mette in piedi dei progetti che gli permettono di visitare i centri nevralgici della storia che ha condotto alla legge 180. Ritorna a Trieste. E poi Arezzo, Roma, Imola e Venezia. Ce lo dice lui stesso: «Questo libro racconta quella rivoluzione, nel bene e nel male – perché se uno storico non rimescola nel torbido, che storico è?». Così l’avventura ha inizio e inizia proprio dal suo artefice.

Marco Cavallo
Marco Cavallo

Prima di dirci la sua battaglia, Foot inquadra anche il suo eroe (o antieroe), la sua biografia, l’estrazione borghese, il carcere, il carattere. Non ci viene raccontato solo un Basaglia impetuoso e idealista, non viene restituito solo quell’aspetto rivoluzionario che piace ai più. No. Basaglia era anche un uomo che sapeva cos’era il potere e sapeva come gestirlo. Come avrebbe potuto altrimenti fare quello che ha fatto? Foot dedica capitoli a un preciso contesto sociale e politico, per nulla semplice, quello degli anni ’60 e ’70 e incrocia i dati sociali con quelli culturali. Ci dice quindi cos’era l’antipsichiatria e i suoi antagonisti, le maggiori influ. enze culturali (da Marx a Foucault), soprattutto ci racconta l’esperienza basilare di Gorizia «che non è stata oggetto di alcun tipo di ricerca rigorosa», scrive. Eppure è partito tutto da lì. Il suo metodo è sempre lo stesso: un’analisi chimica del passato perché emerga più verità possibile. Emerge allora più impetuosamente la figura di Franca Ongaro. E poi la prima e fondamentale équipe goriziana: Basaglia, Ongaro, Slavich, Schittar, Pirella, Casagrande, Tesi, Antonucci, Bombonato e la coppia Jervis. I goriziani avevano un modello per la loro rivoluzione e veniva dal Regno Unito, la “comunità terapeutica” di Maxwell Jones, il primo ospedale psichiatrico completamente aperto nel mondo di lingua inglese e Gorizia fu la prima comunità terapeutica all’interno di un manicomio italiano. L’esperimento goriziano prende piede e le pratiche sono rivoluzionarie, non più gabbie, spoliazioni identitarie, ma la novità più evidente è quella dell’assemblea generale dove tutti partecipano, operatori, medici, degenti, inizia un vero e proprio processo di democratizzazione. Teoria e pratiche hanno uno sviluppo incredibile, sostenute da alcuni politici, proiettate dai mass media al mondo, tutti accorrevano a Gorizia. Ma iniziano anche riflessioni più verticali come il fatto che un manicomio riformato avrebbe impedito la sua distruzione, cioè quella delle “istituzioni totali” che il manicomio ben rappresentava. E intanto esce “L’istituzione negata”, la bibbia di intere generazioni, anche se nel mentre l’équipe goriziana era sul punto di rompersi perché consapevole che il suo lavoro stava finendo in un vicolo cieco e il manicomio avrebbe potuto rivelarsi una gabbia dorata: «Quello che resta un po’ nell’ombra – riporta Foot dal testo “Franco Basaglia” di Colucci-Di Vittorio – è che si tratta anche, e in qualche misura soprattutto, di un libro contro la comunità terapeutica e tutti i tentativi di “riforma istituzionale”». Foot ci fa capire chiaramente come questo libro-rivelazione spesso veniva assunto come una bibbia, ma forse non sempre letto con la giusta attenzione, quella che permette di vedere il “contro”. C’è il rischio del dogma, tanto più in epoche estreme, e prima e dopo Basaglia la sensazione è che Basaglia appartenga solo ai basagliani. In realtà il cammino è lungo, complicato dalla politica, dalle divergenze interne alla psichiatria critica, ma le cose procedono in quello che è un dibattito sempre più acceso. Prima di Trieste, Foot fa un’onesta carrellata anche su altri manicomi italiani, fra tutti l’esempio di Perugia che in anticipo su Trieste ha portato il manicomio fuori, in città, riducendo a un numero esiguo i suoi abitanti. E poi l’esperienza di Colorno dove si formerà la maggior parte dell’équipe triestina: Rotelli, Minguzzi, Casagrande, Venturini, Risso, Carrino, Dell’Acqua, Gallio e altri ancora. Se a Gorizia Basaglia aprì il manicomio, è a Trieste che lo supera. Happening come quello di Marco Cavallo rappresentano soprattutto la necessità di trovare provvedimenti rivolti a creare pratiche e istituzioni alternative. Ci sono i nostalgici e chi invece guarda al presente convinto che la vera rivoluzione basagliana avvenga dopo la chiusura dei manicomi, non prima. E per quanto il pericolo sia (anche) quello di essere recuperati dal sistema, reintegrati e neutralizzati, questa rimane la storia di una liberazione, forse la più grande riforma fatta in Italia, la dimostrazione che un piccolo gruppo di persone può davvero cambiare il mondo.


26 novembre 2014

Sfogliando e svelando i volti della “Repubblica dei matti”

 

Pubblichiamo oggi in anteprima un estratto dell’ultimo libro di John Foot: La “Repubblica dei matti” – Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978 da oggi in libreria (Feltrinelli 2014, trad. di Enrico Basaglia).* 

Sfogliando il ricco volume attraverso il quale lo storico inglese John Foot ricostruisce l’esperienza basagliana che, a partire dai primi anni Sessanta, segnò la storia di questo Paese, abbiamo deciso di selezionare un paragrafo che, tra gli altri, ci pareva particolarmente prezioso. Se una delle cifre e delle ambizioni di questo testo consistono nella responsabilità di cui si fa carico l’autore, di provare a raccontare – da una prospettiva per certi versi (troppo?) più esterna del solito e per altri (troppo?) più interna – alcuni snodi che hanno caratterizzato la storia del movimento di psichiatria radicale sviluppatosi attorno alla chiusura dei manicomi in Italia, un’altra è quella di dare un volto e una voce ad alcune delle persone che hanno vissuto questa esperienza in prima linea.

Tra queste, la figura di Franca Ongaro, compagna di una vita di Franco Basaglia, di cui raramente e con grandi difficoltà si è potuto raccogliere del materiale. Ed è per questo che oggi, su gentile concessione dell’autore e dell’editore, pubblichiamo la porzione di testo presente nel libro a lei dedicata.

Franca Ongaro (1961-1969)[1]

Lui è un uomo di un’estrema fantasia e irrazionalità e io sono diventata una persona estremamente logica. Credo di essermi in un certo senso costruita come complementare a lui, dato che credevo a quello che faceva perché quello che faceva mi corrispondeva. (Franca Ongaro)[2]

In fondo c’ero sempre. (Franca Ongaro)[3]

[Franco Basaglia] viveva in una splendida casa con due figli e una moglie bella e intelligente, Franca Ongaro, che gli faceva da segretaria e lo aiutava a scrivere gli articoli. (Giovanni Jervis)[4]

Ora che la mia lunga lotta con e contro l’uomo che ho amato si è conclusa, so che ogni parola scritta in questi anni era una discussione senza fine con lui, per far capire, per farmi capire. Talvolta era un dialogo. Talvolta l’interlocutore svaniva, e io restavo sola, sotto il peso di una verità che si riduce a un’arida resa dei conti con il bilancio in pareggio, se l’altro non la fa anche sua. (Franca Ongaro, 1980)[5]

 

Franca Ongaro Basaglia, Messico. Foto della Fondazione F. e F. Basaglia

L’esponente principale, e la più fedele, dell’équipe basagliana era Franca Ongaro (che si firmò anche, in diversi momenti, Franca Ongaro Basaglia e Franca Basaglia). Era una bella donna, che negli anni Settanta sarebbe diventata per molti una sorta di icona femminista. Una donna forte, indipendente, di grande personalità, che fu una compagna (forse) alla pari nel matrimonio con un uomo famoso e carismatico. Ma visse anche nella sua ombra, non ottenendo mai pieno riconoscimento del ruolo avuto nel successo di lui e del movimento nel suo insieme. Non compare nella foto dell’équipe risalente (forse) al 1967. Lei e Franco furono inseparabili per tutta la vita, ma l’unione non fu priva di tensioni. Di fatto, proprio dalle loro differenze, da quelle stesse tensioni, deriva in parte l’energia che anima le opere più forti e influenti che scrissero insieme.
Franca fu a Gorizia fin dall’inizio, e per l’intero periodo fino al 1968. Rinunciò al suo lavoro di scrittrice [6] per dedicarsi alla lotta, che diventò la missione della sua vita nonostante i due figli piccoli (nei primi anni) da allevare. Ma Franca Ongaro non faceva ufficialmente parte dell’équipe, e non fu mai impiegata nell’ospedale (né in alcun’altra istituzione). [7]

Apparteneva comunque all’équipe nel modo più evidente, se non ufficiale: fu un elemento fondamentale nelle pubblicazioni legate all’esperimento goriziano, era spesso presente in ospedale e partecipava a tutte le discussioni strategiche.
Franca e Franco si erano incontrati a Venezia nel 1945, quando lei aveva solo diciassette anni. Al liceo era stata una studentessa brillante, ma circostanze di famiglia le avevano impedito di passare all’università: fu costretta a impiegarsi come dattilografa in una grande società elettrica, la Sade. Aveva ambizioni letterarie, e negli anni Cinquanta e Sessanta scrisse diversi racconti per bambini per il «Corriere dei Piccoli». Aveva proposto, senza successo, alcuni libri a diversi editori.[8]
Nel periodo goriziano fu costantemente al fianco del marito, ma non certo nel ruolo stereotipato della casalinga. Franca fu sempre un elemento chiave (o meglio la componente e lo strumento chiave) nel processo di scrittura di Franco Basaglia, e nella sua evoluzione teorica e politica. Di fatto i loro scritti vanno forse attribuiti più a lei che a lui.
Fu lei a scrivere materialmente tutti i loro articoli (e molte delle lettere) e libri a partire dal periodo goriziano, anche se a volte gli scritti successivi assumono un tono diverso. [9]
Franca scrisse anche articoli usciti solo a suo nome, firmò contributi a Che cos’è la psichiatria? e all’Istituzione negata e tradusse testi fondamentali come Asylums di Goffman. E fu tra i firmatari della famosa lettera di dimissioni dell’équipe nel 1972, il momento che chiuse ufficialmente l’esperienza basagliana a Gorizia.

Franca e Franco Basaglia. Foto della Fondazione F. e F. Basaglia

Dopo il 1969 le cose cambiarono. Franca ritornò a Venezia con i figli, mentre Franco si trasferiva in altri manicomi. Era sempre un personaggio chiave, e per tutti gli anni Settanta fu una presenza costante a Colorno e Trieste, ma non ebbe più il ruolo centrale nel movimento che aveva avuto a Gorizia. Non prese parte attiva al movimento femminista, ma ebbe una funzione simbolica di grande rilievo. Nel 1977, per esempio, scrisse la prefazione a un testo destinato a diventare fondamentale per il femminismo italiano, Processo per stupro. [10] Franca fu inoltre un elemento determinante nell’importantissimo rapporto con Giulio Bollati e l’Einaudi. Era lei a occuparsi materialmente della stesura dei testi, e fu in contatto costante con Bollati durante la produzione di una serie di libri, a cominciare dall’Istituzione negata. Fu una grande amicizia, parallela a quella tra l’editore e lo stesso Basaglia.
Varrà la pena, a questo punto, di provare a districare il procedimento alla base della “scrittura comune” dei Basaglia. Le idee e i processi mentali di Basaglia erano fantasiosi e profondi, ma spesso apparivano confusi, e talvolta sconcertanti. Franca trovava la forma e il filo narrativo, anche se spesso lo stile risultava oscuro, e la forma frammentaria.

È evidente che i Basaglia “scrivevano” insieme: i loro scritti individuali sono molto diversi da quelli “in comune”. Nelle pubblicazioni successive di Franca Ongaro mancano la vitalità e il livello di complessità di quelle degli anni Sessanta e Settanta, e i primi articoli di Franco Basaglia, prima di Gorizia, hanno uno stile molto più accademico. Il disordine istintivo e prorompente delle idee di Franco veniva messo in riga, e in pagina, da Franca. Non era facile, come non è facile capirlo. C’erano discussioni continue su ogni singola parola. Come scrive Franca, in quel famoso passo autobiografico: «So che ogni parola scritta in questi anni era una discussione senza fine con lui, per far capire, per farmi capire; talvolta era un dialogo».

Pare di capire che la “scrittura comune” dei Basaglia, a partire da Che cos’è la psichiatria?, procedesse così: discutevano insieme, a lungo, quello che volevano dire; Franca prendeva appunti, poi batteva a macchina una prima bozza. Questa versione veniva ridiscussa, ancora una volta a lungo. Ne usciva una versione finale, che Franca ribatteva. La procedura non aveva assolutamente nulla del dettato; semmai, la scrittura era in buona parte di Franca, non di Franco. Ma entrambi, ciascuno a suo modo, davano il proprio contributo. Franco non ne parlò mai, e Franca ci ha lasciato soltanto quell’unica, affascinante, dichiarazione.
Anche le loro lettere erano collettive, costruite come un dialogo spontaneo – tra l’altro lei era una delle poche persone che riuscissero a decifrare la calligrafia di Franco Basaglia, che lui usava nelle rare occasioni in cui scriveva da solo.
Gli studi critici su Basaglia tendono a sottovalutare Franca Ongaro, che a volte non compare nemmeno. In altre occasioni viene presentata come una semplice “dattilografa”, o addirittura come una “segretaria” di lusso. Zanetti la definisce «sua valente collaboratrice».[11] Non pare contare il fatto che su buona parte del loro lavoro compaiano entrambe le firme. Gli studiosi preferiscono ignorare del tutto questo riconoscimento di una “scrittura comune”, o si limitano a farne cenno in una condiscendente nota a pie’ di pagina.

In generale il corpo dei loro scritti viene attribuito, quantomeno sul piano della sostanza dell’analisi, al solo Franco. Per certi versi, la cosa fu voluta: negli Scritti pubblicati postumi,[12] per esempio, o nella scelta di proclamare L’istituzione negata «a cura di Franco Basaglia». Tanto più che, come abbiamo già osservato, Franca non fece mai ufficialmente parte dell’équipe, né a Gorizia né a Trieste, e in quest’ultima città la sua presenza fisica fu assai meno frequente, dopo il rientro a Venezia nel 1969. È vero, certo, che negli anni Settanta creò a Venezia un istituto chiamato Centro critica delle istituzioni[13] , ma il fervore iniziale non tardò a spegnersi, e ben pochi dei suoi ambiziosi progetti di pubblicazioni, attività e ricerche furono realizzati.
Per molti versi Franca Ongaro riuscì ad affermarsi solo dopo il duro colpo della morte di Franco nel 1980. Fu eletta per due legislature al Senato nelle liste della Sinistra indipendente (1984-1991), e lavorò instancabilmente per l’effettiva applicazione della legge del 1978, opponendosi ai tanti tentativi di controriforma.
Dopo il 1980 continuò a pubblicare libri e articoli a suo nome, oltre a curare per Einaudi i due volumi degli Scritti di Basaglia. Fu autrice prolifica di testi e introduzioni, e fino all’ultimo viaggiò in Italia e nel mondo per sostenere la causa della riforma psichiatrica. È sorprendente quanto siano rari, nelle pubblicazioni su Franca Ongaro, gli accenni personali, e perfino gli aneddoti.
I necrologi dopo la sua morte nel 2005 sono per lo più aridi elenchi di fatti, che forniscono ben poche informazioni non reperibili nelle note biografiche già esistenti. Fa eccezione Massimo Cacciari, nel discorso che tenne al suo funerale. [14] È indubbio che il colpo della morte prematura di Franco Basaglia fu duro e doloroso, soprattutto per Franca, Alberta ed Enrico. Ma Franca non scrisse mai di se stessa, né mai collegò il suo lavoro con la sua autobiografia. Per lei, in pubblico quantomeno, il personale non era politico. Per ricostruire la sua vita privata, siamo costretti a leggere tra le righe.

©Giangiacomo Feltrinelli Editore

Franca Ongaro Basaglia. Foto della Fondazione F. e F. Basaglia

Note

* Si ringrazia la Fondazione Franca e Franco Basaglia per la gentile concessione delle immagini qui pubblicate.

[1] Cap 4, La squadra. La prima équipe a Gorizia, 1961 – 1969, pp. 55-59.

[2] Basaglia et al., La nave che affonda, cit., p. 98.

[3] Ivi, p. 97.

[4] Jervis, Il buon rieducatore, cit., p. 20.

[5] Questa sezione è intitolata Congedo. Franca Basaglia Ongaro, Una voce. Riflessioni sulla donna, il Saggiatore, Milano 1982, p. 147.

[6] Franca aveva pubblicato diversi racconti, alcuni illustrati da Hugo Pratt, suo amico d’infanzia.

[7] Non aveva studiato psichiatria, né frequentato l’università, a parte un breve periodo a Trento alla fine degli anni Sessanta. Viene definita “sociologa” in qualche pubblicazione, ma non si laureò mai. Altri esponenti di quella che potremmo definire “la squadra estesa” erano nella stessa posizione, ma la cosa assume ben altra rilevanza per Franca Ongaro, considerati la sua presenza costante a Gorizia e il fatto che fosse la moglie di Basaglia.

[8] Alcune sue lettere di questo periodo sono conservate nell’Archivio Einaudi.

[9] Non è chiaro se lo stesso avvenisse anche per la produzione più accademica di Basaglia negli anni 1953-1961.

[10] Il processo ricostruito nel libro era stato il soggetto di un documentario che sconvolse l’Italia, Processo per stupro, trasmesso dalla Rai nel 1979 (60 minuti, regia di Loredana Rotondo). Il libro uscì nel 1980: Maria Grazia Belmonti et al., Un processo per stupro. Dal programma della Rete 2 della televisione italiana, prefazione di Franca Ongaro Basaglia, Einaudi, Torino 1980.

[11] Parmegiani e Zanetti, Basaglia. Una biografia, cit., p. 32. Oppure anche: “La principale collaboratrice di Franco Basaglia”, in Saverio Luzzi, Salute e sanità nell’Italia repubblicana, Donzelli, Roma 2004, p. 333 nota 2. Babini la definisce “credente”, ma Franca Ongaro non era affatto religiosa (Babini, Liberi tutti, cit., pp. 267-268). Franca Ongaro viene presentata anche come «compagna di tutte le sue [di Basaglia] battaglie istituzionali» (p. 267). Si veda anche il numero speciale dedicato dai “Fogli d’informazione” al conferimento a Franca Ongaro Basaglia di una laurea honoris causa all’Università di Sassari (188, XXIX, gennaio- febbraio 2001). Anche in questo volume, comunque, a parte qualche cenno nel testo introduttivo di Maria Grazia Giannichedda, c’è ben poco di personale su Franca.

[12] Gli Scritti postumi vengono in genere attribuiti a Franco, come fossero il monumento eretto dalla moglie alla sua memoria. Più specificamente, in copertina compare solo il cognome “Basaglia”, mentre il frontespizio presenta come unico autore Franco Basaglia. Franca Basaglia viene indicata come curatrice.

[13] Chiamato anche Critica delle Istituzioni. Centro Internazionale di Studi e Ricerche: cfr. Basaglia e Ongaro (a cura di), Crimini di pace (2009), cit., p. 10.

[14] Si veda www.ilfoglio.org/319/Franca_Ongaro_Basaglia.htm