da Il Piccolo del 16 dicembre 2019
Un film di ascolto e osservazione, che pedina i suoi protagonisti e lascia al contempo respirare il paesaggio, tutto triestino. Perché “Confini”, presentato di recente al Torino Film Industry, è un progetto di documentario che ha per protagonista una particolare famiglia triestina di origini istriane finita, suo malgrado, sulle prime pagine di tutti i giornali. Tra i dieci finalisti del premio Solinas, selezionati tra 65 script, gli autori, non triestini, Riccardo Campagna e Federico Savonitto hanno suscitato grande interesse e attenzione dai produttori – Beppe Leonetti li ha subito appoggiati e li sta seguendo a distanza – raccontando la quotidianità di Duilio, Maria Albina e Gabriella Rasman, la famiglia che fa quotidianamente i conti con i fantasmi dell’omicidio del figlio e fratello Riccardo, ucciso in casa dalla polizia nel 2006. A sorpresa, però, “Confini”, possiede un taglio molto diverso da quanto ci si potrebbe aspettare in casi del genere.
«È da un anno che stiamo girando, Riccardo Campagna e io: il materiale raccolto è molto buono e stiamo avendo ottimi risconti da persone titolate, insomma: siamo sicuri che il film si farà» racconta Federico Savonitto. Di Codroipo, ha vissuto a Palermo e a Roma. Al Centro Sperimentale, da studente e poi da tutor didattico, ha incrociato il palermitano Riccardo Campagna. «È lui ad avermi raccontato questa storia – spiega Savonitto – : era incappato in un video pubblicato in rete da Giuliana Rasman. Già da adolescente, avevo vissuto qualcosa del genere quando a San Vito al Tagliamento un ragazzo venne ucciso dalla polizia. Sopraffatti dal dolore, i genitori non fecero nulla per far uscire la verità: uno dei tanti casi sommersi, spacciato come suicidio ma in realtà un’uccisione a randellate. Incuriositi, abbiamo deciso di andare sul posto insieme. Quando siamo arrivati a Domio, l’impatto con i Rasman è stato subito fortissimo: è come se ci avessero accolti come emanazioni del loro figlio, e ci siamo sentiti un po’ a casa anche noi. Loro, comunque anziani, continuano a coltivare la campagna con le mani, si fan forti nel dolore: secondo noi hanno una gran tempra».
Da questo fertile incontro non scaturisce però né un reportage né un film che va a inseguire i colpevoli, toccando invece corde impensate. «Non ci interessa l’aspetto giudiziario ma quello umano – racconta il regista -, interrogandoci su come un dolore simile possa essere metabolizzato, su che conseguenze ha, sulla complessità di un evento simile. E ci interessano le loro origini: sono arrivati dall’Istria negli anni ’60 e hanno sempre subito una certa condizione di minoranza, di esclusione. Volevamo raccontare il mondo istriano che si portano dietro e che si tengono stretti, a volte messo in pericolo dai tanti interessi edilizi in quella zona. I nostri protagonisti rappresentano un modo di stare al mondo in via di estinzione». La resistenza dei Rasman è simboleggiata proprio dall’orto che Duilio e Maria Albina coltivano pazientemente, mentre il bisogno di giustizia è raccontato dal muoversi da un’aula giudiziaria all’altra di Giuliana. «Abbiamo già girato un anno raccontando le varie fasi del passaggio delle stagioni – conclude Savonitto – Ora continueremo, e fra un anno contiamo di averlo pronto. Siamo in continua ricerca, ma soprattutto cerchiamo di non mettere mai il nostro giudizio davanti all’osservazione e al puro ascolto». —